Paesaggio e architettura rurale

La civiltà umana è cresciuta insieme alla sua capacità di produrre cibo, principalmente attraverso la coltivazione e l’allevamento di animali. Dalle prime forme di agricoltura primitiva, in tutta la storia dell’uomo la capacità di coltivare la terra e di trarne frutti è sempre stato un elemento fondamentale per tutte le società (di pari passo con la capacità di trasformare il territorio). Obiettivo dell’agricoltura è stato quello di sfamare le popolazioni, attraverso i prodotti alimentari. Per raggiungere questo obiettivo la capacità tecnologica dell’uomo di gestire la terra e di farla produrre è cresciuta nel tempo, e a tutt’oggi assomma conoscenze tecniche e scientifiche sempre più ampie. La scienza che studia tali aspetti è l’agronomia, che “ha per oggetto lo studio dei fattori che condizionano la produzione vegetale e le tecniche della loro regolazione, per realizzare le massime o le più convenienti produzioni nel rispetto della conservazione delle fertilità del terreno e dell’ambiente“ [Bonciarelli].

La presenza dell’uomo nelle campagne ha plasmato il paesaggio rurale, creando uno straordinario sistema in cui l’azione della natura e l’opera dell’uomo si sono intersecate in modo armonico e non distruttivo. Nelle aree rurali, infatti, il rapporto fra uomo e campagna, sino al secolo scorso, è rimasto nei limiti di un sostanziale equilibrio, anche per la sino ad allora limitata capacità dell’uomo di produrre trasformazioni rilevanti sul territorio.
Peraltro le conoscenze in campo agronomico, negli ultimi due secoli, si sono sviluppate in parallelo con gli altri settori produttivi, e l’agricoltura ha potuto fare sempre più uso degli strumenti messi a disposizione dalla cooscenza e dalla tecnologia. Tale direttrice di crescita ha consentito di far aumentare in modo esponenziale la produttività delle colture agricole, attraverso le tecniche dell’agricoltura industriale (per alcune colture come mais o barbabietola, la produttività è aumentata di diversi ordini di grandezza nell’arco di meno di 200 anni), riducendo nel contempo le necessità della manodopera per l’effettuazione delle operazioni colturali.
Negli anni recenti, però, il modello dell’agricoltura industraile, per gli impatti significativi che può produrre sull’ambiente e per gli elevati impieghi di risorse esogene, oltre che per il crescere di una nuova coscienza ecologica nelle società occidentali, è stato messo in forte discussione.
Sono stati identificati e perseguiti allora nuovi criteri a cui ispirare la produzione. Sono diventati più importanti la qualità e la salubrità dei prodotti e la tutela dell’ambiente e hanno preso piede le tecniche dell’agricoltura biologica e biodinamica, la difesa integrata e biologica delle colture.
In realtà la propensione alla sostenibilità del mondo rurale è strutturale e gli obiettivi produttivi dell’azienda agraria dovrebbero tendere al mantenimento dell’equilibrio ambientale dei suoli e delle aree coltivate, che costituiscono dei sistemi seminaturali antropizzati. Tali obiettivi di equilibrio sono comunque garantiti dall’esigenza di mantenere la produttività economica dell’agricoltura, che a sua volta permette la conservazione delle qualità paesaggistiche dei paesaggi agrari caratteristici del nostro paese: i vigneti del Trentino e della Toscana, gli oliveti della Puglia, gli aranceti della Sicilia, i frutteti della zona padana e dell’Emilia, le coltivazioni con terrazzamenti della Liguria e delle aree subalpine, i campi di grano del Centro-Sud, le serre del ragusano e di Sanremo vengono salvaguardati dall’esigenza di garantire la loro capacità di generare reddito per chi li lavora.


Paesaggio e ambiente sono due concetti fortemente connessi. Secondo Di Fidio: “Il punto di arrivo della complessa evoluzione subita dal concetto di paesaggio è costituito dalla più moderna definizione fornita dall’ecologia: il paesaggio viene considerato come ecosistema paesistico concreto … di una sezione spaziale estesa a piacere della biosfera, che nel caso più semplice comprende solo atmosfera, litosfera ed idrosfera e negli altri casi è integrata da esseri viventi, fra cui l’uomo, e le sue opere; … nella maggior parte dei casi, più che un vero e proprio ecosistema omogeneo, si tratta di un insieme di ecosistemi variamente collegati” [Di Fidio, 1991].
Dunque il paesaggio, visto da questa prospettiva, è un insieme di sistemi ecologici dinamici in equilibrio (o in disequilibrio, a seconda dei casi), in cui le componenti ambientali di maggiore rilievo:
· suolo
· vegetazione
· acqua
· clima
· fauna
interagiscono fra loro, ricevendo inoltre le importanti pressioni modificatorie degli interventi antropici (coltivazione, forestazione, pascolo, incendi, deforestazioni, edificazione, inquinamento ecc.).

Gli interventi dell’uomo hanno prodotto e producono modificazioni dell’ambiente che incidono sugli equilibri ecosistemici ambientali in modo rilevante. Nel passato le foreste che occupavano la gran parte delle superfici del nostro territorio sono state disboscate (per lo più con incendi), liberando grandi estensioni di terreno, una parte dei quali sono stati poi messi in coltura. Dai primi insediamenti e dai primi villaggi rurali sono sorte le città, che sono cresciute e sono divenute punti di riferimento per l’agricoltura, il commercio, le attività speculative. Infine i processi di aggregazione hanno portato alla formazione delle città più grandi, attraverso i processi di urbanizzazione. Se si eccettuano i grandi interventi di deforestazione, sino alla rivoluzione industriale gli effetti degradativi della presenza dell’uomo, per quanto rilevanti, non hanno portato agli sconvolgimenti sugli equilibri ambientali che invece dal secolo scorso in poi si sono ripercossi sul territorio e sul paesaggio.
I processi di aggregazione urbana, con la concentrazione delle persone e delle industrie in ridotte porzioni di territorio, gli impatti degli insediamenti industriali e civili (degradazione degli ecosistemi esistenti, inquinamento, deforestazione, cave, desertificazione dei suoli), così come la tecnologia, che ha portato a nuove forme di inquinamento (idrocarburi, pesticidi, nuove sostanze chimiche), macchine sempre più potenti e tecniche di lavorazione sempre più devastanti, hanno prodotto negli ultimi due secoli una serie di rilevantissimi effetti sul territorio e sul paesaggio, con la trasformazione di paesaggi agrari e naturali in paesaggi urbani o industriali più o meno degradati.
Non si deve comunque pensare che gli interventi antropici, nella loro applicazione ai sistemi ambientali e al paesaggio, esprimano solamente effetti di impatto sull’ambiente di valenza negativa: in molti casi, anzi l’azione dell’uomo favorisce il riequilibrio di alcuni sistemi naturali o seminaturali.
E’ il caso ad esempio dell’applicazione delle tecniche di governo del bosco nel comparto forestale, che – se razionalmente applicate – consentono di mantenere i sistemi ecologici forestali in situazioni di elevato equilibrio ambientale (ad esempio per la riduzione dei rischi di incendio o perché favoriscono una equilibrata rinnovazione) pur nell’ambito di una gestione finalizzata ad un loro razionale sfruttamento.

La risorsa forestale costituisce uno degli elementi ambientali e paesaggistici di maggior spicco del nostro territorio nazionale, visto che tale amplissima area verde – estesa su quasi 7 milioni di ha di bosco, pari al 22% del totale nazionale – compensa almeno in parte gli effetti negativi sull’ambiente derivanti dalla presenza in tutta la penisola di grandi agglomerati urbani e industriali.
Anche l’agricoltura, che occupa in Italia una superficie ancora maggiore, visto che interessa il 50% dei 30 milioni di ha del territorio nazionale (giova ricordare che complessivamente fra terreni agricoli, forestali e aree di interesse naturalistico si raggiunge l’87% della superficie territoriale) è un’attività ad elevato grado di antropizzazione che contribuisce in modo sensibile al mantenimento degli equilibri ambientali. Le aree coltivate hanno sempre costituito dei sistemi complessi che – proprio attraverso la gestione antropica dei suoli – ne hanno favorito l’equilibrio ecosistemico complessivo, sia in modo diretto, attraverso la gestione diretta del suolo e delle colture (per gli effetti collegati all’aumento della fertilità, a cui le razionali tecniche di gestione agronomica possono portare), sia per l’elevata interconnessione di alcuni dei fattori organizzativi dei sistemi agricoli con l’ecosistema circostante (si pensi alle siepi, che costituiscono oltre che un significativo elemento paesaggistico un importante habitat per la flora e per la fauna).
Per questo, in parallelo con la piena tutela degli ambiti a vocazione naturalistica integrale, la salvaguardia dell’azienda agricola diventa un presupposto essenziale della tutela dell’ambiente e del paesaggio.
L’architettura rurale costituisce una delle modalità di intervento dell’uomo più importanti e caratterizzanti del paesaggio rurale.
Nelle sue forme tradizionali si tratta di un’espressione nata da una cultura povera, caratterizzata da una matrice culturale di derivazione agropastorale. I manufatti sono spesso realizzati con materiali reperiti sul posto (legno, pietra, terra, ecc.) e hanno funzione di abitazioni, stalle, fienili, locali per la trasformazione e la conservazione dei prodotti, recinti, ecc. Le soluzioni tecniche sono essenziali, e al tempo stesso di grande efficacia, funzionali a consentire l’utilizzo il più possibile efficace di tutte le risorse ambientali.
L’avanzare della tecnologia e della modernità nel costruire e nell’agricoltura hanno gradualmente modificato il sistema dell’architettura rurale, introducendo nelle campagne opere progettate con criteri funzionali più recenti, realizzate utilizzando materiali e impianti spesso ispirati a modelli costruttivi o produttivi industriali. Questo ha permesso nelle aree più sviluppate un opportuno miglioramento dell’efficienza produttiva, ma ha anche favorito un graduale degrado del paesaggio e della qualità architettonica globale delle aree agrarie, e l’inserimento nelle campagne di strutture ed attività ad impatto ambientale crescente.
Nelle aree prossime agli agglomerati urbani, inoltre, una proliferazione incontrollata dell’edificazione, a tutto danno dell’agricoltura e del mondo rurale, ha portato spesso all’inglobamento degli edifici rurali nel tessuto urbano, creando talvolta ferite profonde nel tessuto fondiario e nell’ambiente e producendo il fenomeno del consumo del suolo.
La crisi del mondo industriale (anche in agricoltura) e l’emergere della necessità dell’adozione di modelli di sviluppo sostenibile hanno portato ad una riscoperta delle metodologie, delle forme e delle funzioni del sistema dell’architettura rurale tradizionale, che oggi può essere rivalutata non solo attraverso il restauro dei manufatti storici, di grande valore architettonico, ma anche e soprattutto attraverso la rivisitazione moderna delle tecniche costruttive del passato (es. con la bioedilizia).
E’ fondamentale consentire e stimolare una sopravvivenza economica e funzionale che possa consentire il ripristino e la valorizzazione dell’uso dei fabbricati dell’architettura rurale, per il mantenimento efficace di questi elementi del paesaggio.
Possono essere ricompresi nelle tipologie costruttive dell’architettura rurale non solo i fabbricati veri e propri, ma anche manufatti e piccole strutture presenti nelle aree rurali: recinzioni, cancelli, tettoie, piccoli ponti, piccole opere idrauliche (briglie, traverse, derivazioni), torrette, ecc.

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