Festa dell’albero: per un verde bioecologico

Verso un futuro più verde: un approccio bioecologico, verso la rigenerazione naturalistica degli spazi antropizzati – Intervento tematico di Paolo Callioni (pubblicato sulla pagina web ANAB il 21 novembre 2019)

Come ogni anno, anche oggi, 21 novembre, si celebra la festa dell’Albero. Questa giornata, teoricamente positiva e utile a promuovere un approccio ecologico alla gestione delle nostre città, evidenzia di fatto una tipica contraddizione italiana: all’idea positiva di migliorare l’ambiente urbano con il verde (ed è evidente che la trasmissione di questo messaggio soprattutto ai bambini e ai ragazzi delle scuole è particolarmente importante) si contrappone in pratica una realtà molto meno rosea, che di fatto vede nelle nostre città il verde ancora relegato al ruolo di elemento accessorio e non strutturale come invece dovrebbe essere, con la gran parte delle città caratterizzate da dotazioni di verde ampiamente insufficienti.

Nel 2013 la legge n. 10 consolidava il quadro normativo sul verde, dando a Regioni e Comuni una serie di compiti e prescrizioni per la promozione del verde urbano, senza però purtroppo indicare le fonti finanziarie e i capitoli di spesa da cui attingere per realizzare tali positive proposte, e limitando perciò in tal modo la portata dello stesso provvedimento. Alcuni interventi normativi successivi (modifiche al codice appalti, CAM, bonus verde) hanno in parte cercato di spingere verso la stessa direzione, ma il punto è lo stesso: gli spazi verdi nelle nostre città sono quasi sempre carenti, e le politiche di valorizzazione del verde languono. 

Il recente Rapporto ISPRA 2018 sulla qualità dell’ambiente urbano, ad esempio, evidenzia come siano ancora pochissime le città italiane con una superficie a verde urbano superiore al 10% del loro territorio (si veda l’immagine allegata). 

In parallelo, scontiamo ancora la mentalità secondo cui il verde non viene percepito, nell’immaginario collettivo, come un’infrastruttura necessaria quanto una strada, una rete dell’energia o una condotta idrica, e neppure come una risorsa di capitale naturale da confrontare alla pari con altri asset (più facilmente valutabili in termini monetari) di un territorio.

Eppure il verde in città non solamente migliora le città rendendole più vivibili ed “ecologiche”, riducendo inquinamento e rischio idrogeologico ma, secondo valutazioni supportate scientificamente e ormai consolidate, costituisce un investimento “prosaicamente” conveniente, proprio perché fornisce alle amministrazioni e ai cittadini una serie di benefici ecosistemici che ripagano di gran lunga il costi sostenuti. Ad esempio, secondo una valutazione della città di Santa Monica (California), per ogni dollaro che l’Amministrazione spende nella piantagione di alberi si produce un vantaggio economico per la stessa comunità pari a 1.62 dollari: dobbiamo perciò cominciare a capire che il verde non è solo un costo per la collettività.

Partendo proprio da tali considerazioni la città di New York (come si può facilmente vedere all’indirizzo web https://tree-map.nycgovparks.org/) ha mappato con un sistema GIS tutti (tutti!) gli alberi della città, attribuendo a ciascun esemplare un valore monetario commisurato ai benefici ecosistemici che esso produce, espresso in termini di riduzione di CO2, di abbattimento delle polveri sottili e degli inquinanti dell’aria, di regolazione dello scorrimento superficiale dell’acqua piovana, di regolazione termica, ecc. proprio per rendere chiaramente evidenti a tutti il reale valore delle piantagioni effettuate e fornire ai cittadini un facile metro di giudizio sull’impatto economico della politica di greening attuata dall’amministrazione cittadina.

Passando poi a ragionare sul rapporto fra verde e qualità della vita negli ambienti urbani, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stima che l’inquinamento atmosferico ambientale sia responsabile nel mondo circa 3.7 milioni di decessi all’anno (di cui 800.000 solo in Europa), di 6.3 milioni di anni di vita persi e del 3% della mortalità cardio-respiratoria. Sempre secondo l’OMS, nel 2010 l’inquinamento atmosferico in Europa è costato in termini di morti premature e di malattie circa 1.600 miliardi di dollari, cifra quasi equivalente a un decimo del prodotto interno lordo dell’UE nel 2013.

Per quanto riguarda in particolare la realtà italiana, la Regione Lazio, grazie ad uno studio apposito, ha determinato che nel solo 2015 nella città di Roma si sono verificati 1526 decessi “attribuibili” all’inquinamento, in parallelo con 960 casi di infarti del miocardio e 148 decessi per tumore al polmone, correlabili alla presenza di polveri sottili PM2.5 nell’aria della città.

Ebbene, ciò che tutti sappiamo benissimo ma che fatichiamo ad applicare nel concreto in Italia è che negli ambiti urbani il verde permette una significativa protezione dall’inquinamento atmosferico. Per questo, oltre ai vantaggi ecosistemici diretti, si dovrebbero perciò valutare anche i vantaggi sanitari e biologici indiretti derivanti dalla presenza del verde.

Tale considerazione è confermata da un recente studio epidemiologico effettuata dalla Regione Lazio che ha confermato che i cittadini romani che vivono a distanza inferiore a 300 m da uno spazio verde, godono di un effetto protettivo nei confronti di alcune patologie principali. L’indicazione dei 300 m deriva da una prescrizione dell’OMS finalizzata a garantire un buon livello di salute per la popolazione urbana: secondo tale organizzazione infatti gli abitanti delle aree urbane dovrebbero vivere a non oltre 300 m da uno spazio verde.

Per le motivazioni sopraesposte, anche da una prospettiva bioecologica il verde urbano è da considerarsi un elemento indispensabile dei sistemi insediativi, necessario per proteggere dall’inquinamento e quindi migliorare la qualità di vita e la salute degli abitanti, oltre che un elemento progettuale in grado di regolare i parametri ambientali nell’intorno di un edificio (schermi verdi, verde pensile, verde verticale). Insomma, non si può davvero immaginare un progetto bioecologico privo della presenza di una significativa dotazione di spazi verdi.

Naturalmente l’applicazione della regola dei 300 metri proposta dall’OMS comporterebbe riflessi importanti sulla progettazione urbanistica delle nostre città, la cui densità andrebbe ridotta per fare spazio alla vegetazione, facendo diventare i nostri ambiti urbani delle vere e proprie “città giardino”, piene di verde e capaci così di abbattere in modo significativo l’inquinamento, filtrare le acque piovane e migliorare significativamente la nostra qualità di vita.

Viceversa i nostri standard urbanistici, fermi ai 9 mq/abitante prescritti dal D.M. 1444 del 1968, rappresentano una dotazione di verde non elevata e non possono realmente consentire ad una vasta quota di popolazione in un sistema urbano di godere realmente degli spazi verdi indicati dall’OMS.

E’ perciò necessario iniziare a concepire nuovi standard di verde, che possano significativamente superare – almeno nel caso delle porzioni di città da trasformare con obiettivi bioecologici – la soglia inadeguata e insufficiente dei 9 mq/abitante, per favorire una crescente presenza del verde negli spazi urbani, anche finalizzato ad un approccio “rigenerativo” (in cui cioè l’effetto “positivo” della natura sia superiore agli impatti “negativi” dei sistemi antropici urbani, favorendo l’instaurarsi di processi di rigenerazione ambientale) e alla presenza strutturale di infrastrutture verdi e corridoi ecologici all’interno del tessuto urbano (anche nei centri storici).  

Tale evoluzione si pone peraltro in controtendenza con l’attuale approccio di valutazione dell’uso del suolo “quantitativo” che interpreta come aprioristicamente negativa qualunque trasformazione antropica, genericamente classificata come “consumo del suolo” e che indica nella “densificazione” l’unico modello di indirizzo di un’urbanistica sostenibile. Viceversa è necessario andare sempre più nella direzione di un’urbanistica “qualitativa” in cui le trasformazioni siano valutate in relazione al loro effettivo impatto sui sistemi territoriali e non solo sulla base dei metri quadri o dei metri cubi interessati, evidenziando quegli elementi (come il verde) utili a un riequilibrio bioecologico delle funzioni naturalistiche e a garantire un miglioramento della qualità ambientale e delle funzioni insediative, nella direzione di un approccio sempre più orientato alla rigenerazione naturalistica degli spazi antropizzati. 

Paolo Callioni – Dottore agronomo libero professionista – Tecnico Bioedile ANAB-IBN n. 592

Fonte: ISPRA, Rapporto sulla qualità dell’ambiente urbano 2018

Lascia un commento